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Pubblichiamo l’articolo di Elena Pescio pubblicato sull’ultimo numero del giornalino di Amri

 

Lo psicologo dell’età evolutiva in ospedale

Prima di entrare nel vivo del progetto che abbiamo presentato, ci terrei ad aprire una piccola parentesi su chi è lo Psicologo dell’Età evolutiva, perché facendo questo lavoro spesso inizialmente incontro molta diffidenza e confusione, su quale sia il mio lavoro.

Si tratta di uno/a psicologo/a, formato/a specificatamente su infanzia e adolescenza, che accompagna la famiglia e i minori durante i passaggi critici del ciclo di vita (prima infanzia, adolescenza, transizione all’età adulta ecc), lavora sulla promozione del benessere e la prevenzione, e sullo sviluppo psicologico.

 

Il tipo di lavoro che si svolge è sempre di sostegno psicologico, ma come potrete immaginare il linguaggio attraverso il quale vengono affrontate emozioni e vissuti interiori, è molto diverso da quello degli adulti.
Mentre l’adulto veicola i suoi vissuti attraverso la narrazione autobiografica, spesso i bambini, ma anche gli adolescenti, maneggiano meglio altri linguaggi simbolici, come il gioco e il disegno. Come per l’adulto il sogno “è lo specchio dell’inconscio“, così il disegno e il gioco per bambini e ragazzi.

 

(…)

 

Da anni Amri sostiene le famiglie offrendo un servizio di sportello psicologico, grazie al progetto SOSteniamoci è stato possibile implementare le risorse per fornire un servizio più completo.

 

La metodologia usata è ispirata al metodo di Senise, che prevede la presa in carico parallela di genitori e figli, questo consente di dare uno spazio neutro e di contenimento, sia ai genitori sia ai bambini. Per gli adolescenti è la soluzione ideale, considerando la spinta all’autonomia e la fantasia che lo psicologo possa raccontare tutto ai genitori.

 

Questo consente di lavorare meglio sui vari componenti del nucleo, tenendo in considerazione che il tempo nel nostro caso spesso è limitato, quindi è necessario ottimizzare lo spazio a disposizione. Trattandosi di uno sportello, si rivolge alle famiglie che sono ricoverate o in visita al reparto o al DH di Pediatria II, possono accedere persone da ogni parte di Italia, che possono venire a fare la terapia in day hospital e il giorno stesso tornare a casa.

Questo richiede a noi psicologhe di tenere in mente un setting differente da quello tradizionale e un’intervento più mirato e specifico. A tal proposito, ci sembra fondamentale la possibilità di garantire ai genitori uno spazio di sostegno, nel quale sentirsi completamente liberi di portare le fatiche, le preoccupazioni, ma anche i progressi, rispetto alla malattia del figlio. E al figlio (malato e non) di poter fare la medesima cosa, senza sentirsi influenzato dalla presenza dei genitori.

 

I bambini hanno delle ‘antenne’ capaci di recepire tutti gli umori e le emozioni che circolano per casa e spesso, i nostri bambini, consapevoli dell’impatto della malattia nella vita familiare, vorrebbero sollevare i genitori e farsi carico della situazione, come dei piccoli adulti.

Credo che avere uno spazio neutro, in cui poter esprimere senza filtri, i propri vissuti emotivi, possa dargli la possibilità, intanto di entrarci in contatto ed esprimerli, di vedere che si ci può stare, e trovare il modo di elaborarli, per poterli mettere in parole e condividerli in famiglia.
Allo stesso modo, proprio per “le antenne” sopracitate, i genitori, hanno bisogno di uno spazio di confronto tra adulti, per proteggere anche il bambino dalle loro emozioni, che altrimenti potrebbero colpire il bambino.

 

La presa in carico del piccolo paziente o dell’adolescente aiuta a migliorare la qualità di vita, delle relazioni sociali e del senso di autoefficacia. Nello specifico migliora l’aderenza alle cure (che ad oggi in Italia è solo del 50%) e la collaborazione durante il processo di cura.

 

Molte patologie riferite dai piccoli pazienti (o adolescenti), sono ascrivibili a somatizzazioni, la letteratura conferma che bambini e ragazzi che hanno la possibilità di elaborare la condizione di malattia, presentano meno somatizzazioni e riescono a regolare meglio le emozioni (e quindi presentano in minor numero disturbi della condotta, sentimenti di ansia, depressione e isolamento).

 

Considerati questi dati sopracitati, credo che valga la pena dedicare alcune righe alla situazione di ricovero e ciò che comporta. L’ospedalizzazione, comporta l’interruzione della routine quotidiana, conosciuta e prevedibile e l’allontanamento della rete degli affetti, per questo motivo può essere vissuta dal bambino (ma anche dal genitore), come fortemente traumatica e attivare dei processi regressivi. L’ospedalizzazione comporta anche la perdita di un ruolo attivo da parte del bambino (e del ragazzo), nessuno chiede il loro contributo e la condizione stessa li “immobilizza”.

 

Questo spesso comporta l’assunzione di un ruolo passivo, che se si consolida può essere dannoso. In cosa consiste questa inattività? Nell’utilizzo di cellulare, tablet e televisione, come anestetici; nella richiesta eccessiva di attenzioni, anche quando non c’è bisogno; nella regressione, fino alla perdita della maggior parte delle autonomie, anche quelle che potrebbero essere mantenute; nell’incapacità di tollerare piccole frustrazione, nell’alimentazione disordinata, e nella poca collaborazione durante esami e somministrazione della terapia.

 

Partendo dal presupposto che durante il ricovero o una riacutizzazione della malattia, è normale che i bambini (e i ragazzi) mettano in campo un po’ delle strategie prima elencate, in risposta ad una difficoltà reale, il problema sussiste quando queste risposte si consolidano e permangono anche durante i momenti di quiete.

 

Questo tipo di risposta non è più funzionale e alla lunga potrebbe minare l’identità del bambino (ragazzo). Per questo motivo la presenza di giochi, volontari e insegnati in reparto è fondamentale, per coinvolgere il bambino (e ragazzo) e rimetterlo in contatto con la parte attiva, creativa… li rimette in moto! Questo a volte non è sufficiente, come per esempio dopo la comunicazione di una diagnosi, o durante periodi di ospedalizzazione lunghi, in cui lo stress a cui il bambino è sottoposto è molto alto.

 

In quei casi, la figura dello psicologo in reparto può essere una buona risorsa, e questo è un altro obiettivo del progetto SOSteniamoci: creare una rete di professionisti (Medici, infermieri, Psicologo e in- segnanti), che possano prendere in carico il bambino e la sua famiglia, coprogettando il piano di cura.

 

Elena Pescio / Psicologa e Psicoterapeuta per AMRI Onlus